Intervista a Ivo Rosati



Ivo Rosati. È nato nel 1971. Ha fatto il copywriter in un’agenzia di pubblicità scoprendo che non era il caso. Ha fatto il cameriere in una trattoria per tornare alle origini. E poi ha fatto il portiere notturno in un hotel per stare un pò da solo.
Attualmente lavora in una libreria e compra più libri di quanti potrà mai leggere. La storia L’uomo d’acqua e la sua fontana è stata pubblicata da Zoolibri nel 2008, segnalata al Premio Andersen, è stata poi tradotta in Spagna, Portogallo, Croazia e Giappone.

Come mai ha deciso di scrivere per i bambini e i ragazzi?

La prima occasione è stata un concorso. C’era questo bando in cui si parlava di una fiaba per bambini con tema “l’acqua”, e così decisi di partecipare perché mi piaceva la sfida di scrivere qualcosa di fantastico. A piacermi era la possibilità di non avere virtualmente limiti, di poter inventare un mondo al di fuori delle regole, perché sapevo che i bambini si annoiano e non si divertono con le cose normali, e vogliono sempre vivere avventure aldilà dei confini dell’immaginazione.
I bambini, come gli adulti, vogliono sognare e sentirsi raccontare storie stupefacenti che li lasci a bocca aperta.

Che genere di storie le piace inventare?

Mi piace pensare a personaggi un po’ fuori dalle righe, per certi versi un po’ strampalati, dei sognatori incorreggibili che si cacciano nei guai perché non si comportano in modo normale. Parto sempre da un’idea che mi sembra forte, che possa portare con sé degli sviluppi originali, qualcosa che non si sia già visto o già sentito, anche se è molto difficile scovare un’idea o una struttura narrativa particolare.
Alcune volte mi piace immaginare un protagonista e una bizzarria, quasi una “fissazione”, un modo d’essere che lo caratterizzi profondamente. Insomma, cerchi di scovare un’idea e poi la giri e la rigiri per capire se sei capace di tessere quella tela. Può riuscirti bene o può uscirne nel peggiore dei modi.
Può anche non uscirne affatto. Per tornare alla tua domanda: mi piace creare piccoli mondi fantasiosi, ricchi di dettagli, in cui i personaggi si muovono trascinati e spesso affascinati dalle loro stesse emozioni, aldilà del grigiore della normalità, mentre inseguono sogni bizzarri per sentirsi liberi ed essere felici.

Ci racconta quando scrive, il suo tavolo da lavoro e se preferisce la carta o il pc?

Scrivo con il computer, naturalmente. La tastiera ha un grosso vantaggio: regge la velocità dei pensieri che si accumulano uno dietro l’altro. Se infili la situazione e l’immaginazione giusta, le frasi vengono fuori a ritmo serrato. Serve una tastiera. Anche se (e ne sono sicuro) una certa lentezza di scrittura favorisce lo stile e la precisione delle frasi. A questo pongo rimedio rileggendo e riscrivendo molto. Ma la bozza deve essere buttata giù in fretta. Non credo che ci sia alternativa. E poi diciamo la verità: ormai la tastiera ha una sua intrinseca poesia. E’ quasi come un pianoforte per le parole.

La mia scrivania è normale. Ci sono diversi biglietti, note e appunti sparsi qua e là, c’è un disordine geometrico e una specie di caos controllato, fatto di tutta una serie di piccoli oggetti che si accumulano giorno dopo giorno. Ho molti libri intorno, impilati e accatastati un po’ a caso, che disegnano delle belle macchie di colore. Sono anche delle coordinate o dei “richiami” di stile. Se vedo la costa del libro “Notturno” di D’Annunzio mi viene in mente la musicalità della poesia; se vedo i racconti di Piero Chiara ritorno subito alla precisione delle parole, alla perfezione organica e avvolgente dei periodi, al bellissimo respiro della scrittura lenta e meditata. Poi ci sono appese delle fotografie, ho una carta del mondo, per fare qualche salto qua e là per i continenti, una lavagna magnetica e, soprattutto, un dizionario. Anzi, diversi dizionari. Dimenticavo: il buio intorno e una bella luce circolare sul tavolo o sulla tastiera.

Ci sono delle consuetudini, situazioni o atmosfere che cerca di ritrovare o ricreare perché aiutano il suo processo creativo?

Non parlerei di processo creativo. Secondo me questa espressione è stata un po’ abusata. Io penso che scrivere sia soprattutto la fatica di riuscire a realizzare qualcosa di buono, così come si fabbrica con le mani, concentrandosi con efficacia sui diversi aspetti del lavoro. Ci vogliono entusiasmo e costanza, lavoro e lavorio di rifinitura, non s’improvvisa quasi nulla, perché poi le improvvisazioni precipitano nel vuoto e l’inconsistenza viene a galla. E poi non tutti gli stati d’animo sono d’aiuto. Per esempio: non scrivo nulla se ho bevuto qualche bicchiere di vino, non scrivo nulla se trascinato da un eccesso di “fervore creativo”.
Se sono irrequieto, frenetico, agitato, non faccio niente di buono. Al contrario, però, mentre scrivo, quando imbocco la strada giusta, posso venir trascinato dalla storia e allora crescono sia il mio entusiasmo che il mio fervore. Cresce la passione. Detto questo, secondo me, le cose più importanti sono la tranquillità e il silenzio, che favoriscono la concentrazione e l’immaginazione, e aiutano a trovare le parole giuste.

Quando nasce un nuovo racconto?

In qualsiasi momento, quando l’idea mi sembra particolarmente buona, quando hai la sensazione che una “certa” storia debba essere scritta, subito, e lo si capisce perché si va a fondo senza interruzioni.
Purtroppo capita di rado, almeno a me, perché la vita ci mette lo zampino e sono troppe le distrazioni, gli impegni e gli obblighi di un comportamento normale. Per essere bravi scrittori credo sia necessario avere o costruirsi una propria libertà. Anche la libertà di stare bene in solitudine (una traversata in solitaria).
Staccare internet, spegnere il telefonino, non frequentare le “distrazioni”.

Sta lavorando a qualcosa di particolare in questo periodo?
Mi piacerebbe scrivere una storia lunga per bambini o un lavoro di narrativa per ragazzi. Ho parecchi racconti, ancora non pubblicati, ma non mi sono ancora confrontato con lunghezze maggiori. E’ una cosa che non prendo alla leggera, perché rappresenta la sfida più bella, e comunque credo di dover aspettare il momento giusto. Scrivere per scrivere è molto facile, in una notte si possono buttare giù anche venti pagine. Ma come sono, quelle venti pagine?

Come definirebbe il suo stile?

Il mio stile è un po’ da sognatore, a tratti lievemente poetico, mi piacciono gli aggettivi e le costruzioni articolate. Uso anche frasi corte ma cerco di alternarle a periodi più complessi. Le sfumature emergono quando si definiscono i particolari e i particolari sono dentro le frasi subordinate. Per questo lo stile, secondo me, è frutto di una ricerca continua sul proprio modo di scrivere.

Una bella frase dà un certo taglio al racconto, imprime nel lettore, piccolo o grande che sia, un’idea chiara e dà modo d’immaginare la scena. Mi piace alimentare questo senso dinamico dello svolgersi, favorire la sovrapposizione di tessere che vadano a comporre il mosaico della storia e soprattutto la sua atmosfera.
Lo stile rappresenta l’atmosfera, il puro piacere di leggere un racconto.

C’è qualcosa che vorrebbe lasciar detto in questa intervista? Una riflessione, un pensiero, un messaggio, ciò che preferisce, ci dica.

Vorrei dire che scrivendo, soprattutto quando si scrive per bambini o ragazzi, si ha una grande responsabilità, perché stiamo parlando a persone che presto saranno adulte. Mi stupisce parecchio quando leggo certe storie in cui avverto leggerezza e superficialità, monotonia e ripetizione, poche parole e brutte frasi.
Molti libri per bambini sono scritti con linguaggio semplice perché i più pensano che i bambini capiscano solo in questo modo. Io credo invece che i bambini vadano trattati come “piccoli adulti”. In realtà sono molto più intelligenti di come certi adulti tendono a considerarli (un po’ per abitudine, un po’ per inerzia, un po’ per paternalismo pedagogico). Se parliamo loro con superficialità e linguaggio semplicistico avremo da loro una risposta superficiale e semplicistica. Dite ad un bambino una parola che non conosce: incuriosito, vi chiederà che cosa significa. Ecco fatto, ha già imparato. Gli avete già raccontato una piccola storia.


Il blog dell'autore http://ivorosati.blogspot.com/

Se qualcuno, per qualsiasi motivo, volesse utilizzare anche solo in parte l’intervista presente in questo post, dovrà chiedere esplicita autorizzazione all’autore che ha fornito le risposte.



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