Intervista a Roberta Grazzani





Sono nata a Codogno una quantità inverosimile di anni fa.
Da quando avevo vent’anni scrivo per i ragazzi.

Ho pubblicato circa sessanta libri per bambini e ragazzi e ad alcuni di essi è stato assegnato un premio letterario. Il maggior premio, però, mi viene assegnato in silenzio dai ragazzi che leggono e amano le mie storie e i miei personaggi come fossero reali. Per oltre trent’anni ho diretto Giovani Amici, un mensile per bambini e su quelle pagine ho pubblicato centinaia di racconti e favole.

Nel 1995 ho fondato per il quotidiano Avvenire, insieme a Dino Boffo, l’inserto POPOTUS, che prende il nome da un ippopotamo, Popotus appunto, da me creato.







Come mai ha deciso di scrivere per i bambini e i ragazzi?

Avevo appena imparato a leggere quando a poco più di sei anni, mia mamma mi regalò il primo giornalino della mia vita: il Corriere dei Piccoli. Lessi lentamente quelle pagine, ma ciò che mi colpì fu una storia magica. Parlava di una nonna che faceva una bambola di pastafrolla, la metteva nel forno e quando la toglieva, cotta e dorata, la bambola di pastafrolla diventava viva. Rimasi affascinata da quella storia, perché mi resi conto che con le parole si potevano raccontare storie e creare situazioni nuove. Credo che in quel momento la decisione di scrivere abbia messo in me le prime piccole radici.

Poi a vent’anni ebbi fortuna di trovarmi a lavorare come segretaria in un posto speciale: l’Università cattolica, con un capufficio letterato, che intuì, senza che io gliene avessi accennato, che avevo un talento, quello di saper raccontare e mi trasferì nella redazione dei giornali per ragazzi, che divenne la mia palestra.

Ha mai sognato un personaggio che aveva inventato per una sua storia?

Non ricordo di avere fatto sogni legati alle mie storie. Piuttosto ho qualcosa da dire sui personaggi che creo ed è questa. Quando ho finito un racconto, specialmente se è un romanzo, si fa dentro di me un vuoto, come un’assenza e un disagio: mi mancano i personaggi che avevo inventato, come se fossero stati persone vive.

Ci racconta quando scrive, il suo tavolo da lavoro e se preferisce la carta o il pc?

Scrivo ormai da oltre vent’anni direttamente sul computer e prima ancora sulla macchina per scrivere.
A mano ho scritto solo i miei primi due romanzi, quando avevo poco meno di trent’anni. Il mio tavolo di lavoro è la scrivania del computer, perché è il computer che contiene tutto quello che mi serve. Dagli appunti, al progetto, alla scaletta, alle minute.
Ci sono delle consuetudini, situazioni o atmosfere che cerca di ritrovare o ricreare perché aiutano il suo processo creativo?

Se decido di scrivere un racconto breve lo posso fare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Se invece si tratta di un romanzo me ne vado da casa, in un luogo dove ci sia silenzio e dove io possa scrivere quando voglio a qualsiasi ora del giorno e della notte. In genere queste, che io chiamo “fughe di scrittura” si verificano due volte all’anno. Affitto un piccolo appartamento direttamente sul mare (sempre quello da anni) e lì scrivo senza interruzione. Quando alzo gli occhi vedo il mare e questo mi basta per darmi la serenità necessaria per scrivere senza interruzione per ore e ore.

Quando nasce un nuovo racconto?

Nasce quando decido di farlo nascere o perché mi è stato richiesto o perché mi è venuta un’idea. Quando dirigevo Giovani Amici il racconto nasceva una volta al mese, perché doveva essere pubblicato. Non credo nell’ispirazione che deve venire (e se non viene?) credo piuttosto nella volontà che fa nascere l’ispirazione.

Alcuni affermano che la letteratura per i ragazzi è di serie B.
Cosa risponde a chi la pensa così?

Certo per molto tempo la letteratura per ragazzi è stata anche di serie B.

E purtroppo lo è ancora qualche volta. Alcuni pensano che scrivere per i bambini sia facile e che ai bambini si possa propinare di tutto, specialmente storie buttate lì in qualche modo, purché ci siano situazioni stupefacenti, magiche, straordinarie. Invece scrivere per i bambini è difficile e impegnativo, bisogna essere in grado di toccare certe corde, di destare sentimenti, attese e interesse. Tutto questo in uno stile attraente che affascini e insegni. I bambini possono amare una storia non tanto per i suoi contenuti quanto piuttosto per come è stata raccontata, con quali parole, con quali atmosfere. E’ il COME che rende la letteratura per ragazzi di serie A, una serie A diversa da quella degli adulti, ma non per questo meno importante o di meno valore.

C’è qualcosa che vorrebbe lasciar detto in questa intervista?
Una riflessione, un pensiero, un messaggio, ciò che preferisce, ci dica.

Vorrei dire che scrivere per i ragazzi è un impegno grande e nobile, perché i ragazzi sono il nostro futuro e uno scrittore può contribuire, a fare in modo che sia un buon futuro.


Se qualcuno, per qualsiasi motivo, volesse utilizzare anche solo in parte l’intervista presente in questo post, dovrà chiedere esplicita autorizzazione all’autore che ha fornito le risposte.

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