Intervista ad Adriana Merenda



Come ho scritto nel mio sito http://www.adrianamerenda.it/ sono nata sulla costa settentrionale della Sicilia, di fronte alle Isole Eolie, in un paese con una lunga spiaggia, un faro, una scogliera e un nome che evoca imprese leggendarie: Capo d’Orlando.

Dopo il liceo mi sono trasferita a Bologna e mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Abitavo in San Vitale e dalla finestra della mia stanza vedevo le due torri. Spesso erano avvolte dalla nebbia. Sono stati anni di studio intenso e di contestazione. Nelle aule affollate di via Zamboni ho partecipato a severe lezioni e a infuocate assemblee studentesche.

Poi la mia attività di insegnante mi ha portata in Trentino.
Ora vivo in montagna con tanti libri, tanti film, tanta musica e alcune macchine fotografiche. E la valigia pronta per un viaggio. La valle ha un nome che accoglie, Val di Sole. E’ il luogo dove è nato mio marito e dove sono nati i miei figli. E’ attraversata da un torrente e circondata da boschi che ospitano orsi e caprioli, scoiattoli e picchi.

Non ricordo una data d’inizio, ma ricordo benissimo quando, inaspettatamente, le Nuove Edizioni Romane hanno detto sì alla pubblicazione del mio primo libro.
Era il 1996.
Il libro è Aspra di Boccasole.


Come mai ha deciso di scrivere per i bambini e i ragazzi?
Ho iniziato a scrivere per i miei figli, in un divertente gioco di invenzioni. E’ un’esperienza abbastanza comune, credo. Viviamo costantemente dentro un tessuto di storie. Anche i sogni e le fantasie sono storie.
A volte le elaboriamo e le fissiamo sulla carta per un bisogno di ‘trattenerle’.
In me sono state prevalenti, nella fase iniziale, immagini e situazioni fiabesche che hanno dato vita a Aspra di Boccasole (Nuove Edizioni Romane) e Il palazzo del principe di IK (Paoline). Tendo a credere che senza il rapporto giocoso con i miei ragazzi non avrei aperto le porte a quel genere di storie, che però si sono arricchite di letture e studi sedimentati. Ho provato il piacere dell’invenzione libera da obblighi di verosimiglianza. E così ho cominciato.

Qual è il racconto che spera un giorno di riuscire a scrivere? Quello che sente vorrebbe raccontare e spera di essere in grado di tirar fuori.
Non amo pormi obiettivi ambiziosi e costrittivi.
Se qualcuno ha provato la meravigliosa libertà di cominciare un racconto avendo certezza solo del nome della protagonista (è stato il caso di Aspra di Boccasole), sa cosa voglio dire.

Ci racconta quando scrive, il suo tavolo da lavoro e se preferisce la carta o il pc?

Il mio tavolo da lavoro non è sempre lo stesso.

I primi libri li ho scritti sul soppalco della mia casa di montagna, la sera, dopo una giornata di lavoro e intanto che la casa taceva. Il soppalco era (ed è) il luogo dei miei libri e del mio pc.
Lì mi concentravo e mi isolavo. Il tavolo era di assi chiare e di fronte avevo un poster del film Caro Diario di Nanni Moretti.

Gli ultimi libri pubblicati (ambientati al mare) li ho scritti proprio nella casa di mare, d’estate, al mattino, con il portatile appoggiato sulla vecchia scrivania di mio padre e una grande conchiglia sulla mensola della libreria di fronte.

Forse potrei scrivere ovunque, purché si tratti di un posto non disturbato, ma non potrei fare a meno del pc. Non scrivo a penna, se non per prendere qualche rapido appunto.

Ci sono delle consuetudini, situazioni o atmosfere che cerca di ritrovare o ricreare perché aiutano il suo processo creativo?

Mi piace a volte il sottofondo musicale. Poi l’assenza di parole, l’assenza di impegni (anche domestici), nessuna fretta di arrivare alla fine. Scrivere per il gusto di scrivere e non per rispettare tempi o attese.

Quanto alle atmosfere, forse non è stato casuale che abbia scritto di boschi e torrenti stando in Trentino (Il mistero delle lucci pietre) e di mare e vecchie leggende stando in Sicilia (La conchiglia magica, La notte dell’eclissi di luna, Ritorno alla casa saracena). I luoghi a volte raccontano storie. In genere hanno profumi, silenzi e suoni che nei casi migliori riesco a trasferire sulla pagina.

Sta lavorando a qualcosa in questo periodo?

Nel nuovo anno dovrebbe uscire con Le Nuove Edizioni Romane un mio nuovo romanzo che affronta il tema del bullismo in una scuola media di una città del nord.
E, lavorando con lentezza, ho finito la revisione di un romanzo in cui racconto la strana vacanza estiva di due ragazzi nella casa di un nonno un po’ bizzarro che vive in un luogo abitato da fantasmi rumorosi, frati silenziosi e libri inquieti.

Alcuni affermano che la letteratura per i ragazzi è di serie B.
Cosa rispondere a chi la pensa così?

Un libro per ragazzi non ha la complessità di un libro per adulti. Ma questo non vuol dire che debba essere banale. Ci siamo formati tutti su importanti libri per ragazzi (anche se a volte privi di questa etichetta) e alcuni testi, anche recenti, li annoveriamo tra i classici.

Oggi c’è una vastissima proposta editoriale nella quale ci si smarrisce un po’. E’ evidente che bisogna distinguere il grano dal loglio, ma questo vale anche per la letteratura per adulti.

Io i libri li distinguo anzitutto in due categorie: quelli scritti bene e quelli scritti male. Poi in altre due categorie: quelli scritti inseguendo una moda o le attese di un editore e quelli scritti per ‘trattenere’ una storia interessante. Quindi ci sono libri che leggo avidamente fino alla fine ( indipendentemente dal genere ) e libri che abbandono al secondo capitolo.


C’è qualcosa che vorrebbe lasciar detto in questa intervista?
Una riflessione, un pensiero, un messaggio, ciò che preferisce, ci dica.

Scommettiamo sulla buona lettura (e quindi sulla buona scrittura)?

Se qualcuno, per qualsiasi motivo, volesse utilizzare anche solo in parte l’intervista presente in questo post, dovrà chiedere esplicita autorizzazione all’autore che ha fornito le risposte.


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