Come sono nati “El gato coi stivai” e “I tre porcheti”?

Tavola originale per i Tre Porcheti ( Ingrid Kuris )


Retroscena e “ciacole” sulle Fiabe della Collana Fregole.

Abbiamo già raccontato com’è nata la prima fiaba in dialetto triestino: “Capuceto Rosso”, e abbiamo scoperto che la “Capuceto Rosso” triestina è del segno dello scorpione, nata a novembre, in un pomeriggio di Bora, mentre il gigantesco abete sul fianco della casa dei miei genitori dondolava i suoi rami e ad ogni “refolada” li strusciava contro quelli del “lavarno” (l’alloro). Mi rimane un bel ricordo di quei momenti d’ispirazione tranquilla, trascorsi nella casa di Servola, cullati dal nostro adorato vento.

In questo primo albo, grazie ai pennelli di Ingrid, “el Lupaz” si animò con smorfie spassose. Quel pelo arruffato, gli occhi vispi, la linguaccia rossa, hanno contribuito in modo determinante a renderlo il vero protagonista.

Ma “El gato coi stivai”? Non mi era particolarmente simpatica questa fiaba. Piantai il gatto davanti a me e lo fissai dritto negli occhi “caro micio, qui bisogna che ti inventi d’essere meno spocchioso di quanto ti ricordo e cerca di sorridere in modo più grazioso ogni tanto!” Una volta messo in chiaro che l’avrei stravolto e rivoltato a modo mio, siamo partiti insieme per ripercorrere le sue imprese. Devo dire che il micio s’è dimostrato un compagno di viaggio buontempone, dalla parlantina schietta. Mi ci sono trovata così bene che quasi mi è sembrato di fare un balzo in avanti insieme a lui, verso ancora nuove possibilità narrative.

Anche in questo caso le pennellate colorate di Ingrid hanno saputo regalarci tavole indimenticabili, come quella della bottega del “caligher” dalla cui vetrata si intravedono i bei palazzi della nostra città. Oppure quella del coniglio che salta nel sacco!

Come terzo albo, non s’è potuto fare a meno di scegliere “I Tre porcheti”. In tutte le scuole e biblioteche, questa era la fiaba che veniva acclamata più di tutte le altre, in assoluto. Troppi bambini ci hanno detto che questa era la loro preferita. Specialmente tra i più piccoli sembra sia la più amata. Non potevamo deludere l’aspettativa.

La trama dei “Tre porcheti” è semplicissima, quasi banale. Ma è bastato il dialetto a renderla completamente rinnovata. Le situazioni “carsiche”, le scenette campestri, hanno permesso di utilizzare tante parole vivaci. Pensiamo che questa fiaba sia riuscita come un veloce cartone animato. Si corre con i protagonisti e si arriva alla fine col fiatone, con la sensazione di aver rincorso “i porcheti” da Piazza Unità e San Giusto fino ad Aurisina in 10 minuti… ops, forse è proprio ciò che succede.

E ritorna il nostro amato “Lupaz”. Il “Lupaz” ci piace!
Ha un aspetto selvaggio, a volte poco raccomandabile, ma in realtà è un bonaccione, anche sfortunato, poveraccio. La sua anima predatrice e quella triestina convivono in lui regalandoci un personaggio troppo “cocolo”. Bambini, se volete scrivere al Lupaz, non esitate a farlo... chissà che non vi regali qualche ghianda.





Commenti

Unknown ha detto…
Che bel post, molto interessante!
ventodebora ha detto…
Grazie Claudio, in realtà ho sempre timore di annoiare con questi post scritti. Ho sempre il solito problema col tuo blog, l'altra volta pareva essersi risolto invece no, devo chiedere a mio marito di darci un'occhiata seria. Ciao!
Chagall ha detto…
Bello questo post. È interessante leggere il tuo rapporto con le fiabe che hai rivisitato.
ventodebora ha detto…
Grazie Chagall, sono contenta che ti piacciano queste piccole finestre sul mio mondo triestino.
Sei sempre gentilissimo, ciao!
Sapevo che i tre porcheti sarebbero piaciut moltissimo ai bambini...grazie. sapere come nasce una storia è una condivisione intima. Bel lavoro, anche complimenti per le illustrazioni
Un abbraccio

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